Il sake ha una storia lunga più di duemila anni e, nel corso dei secoli, ha subito un’evoluzione sorprendente. Ci sono tantissimi aspetti del sake e della cultura che si porta dietro da scoprire, e qui vogliamo condividere con voi alcuni fatti che ci hanno incuriosite.
Nigori, una tradizione moderna
Il nigori (nome esteso nigorizake, da nigori + sake) è un sake lattiginoso in cui sono presenti residui di riso sciolto dovuti a una pressatura fatta in modo blando, con una pressa a maglie larghe, che ha fatto passare del riso. La parola nigori si traduce letteralmente con “cloudy” in inglese o “nuvoloso” in italiano.
Di recente, questo tipo di sake sta riscontrando parecchio successo e interesse sia in Giappone che all’estero, soprattutto negli USA, e spesso fuori dal Giappone viene presentato come un sake moderno, perfetto da bere così com’è ma anche come base per cocktail (provatelo, tra l’altro, e vi divertirete!).
La cosa interessante è che un tempo tutto il sake era nigori, e solo di recente è diventato quella bevanda trasparente che gustiamo oggi. In passato, infatti, il sake non veniva pressato o filtrato, se non in minima parte, il che lo rendeva bianco come il latte ma anche più robusto e denso.
La prima classificazione del sake, seppur non ufficiale, risale al X secolo, periodo in cui il sake veniva prodotto e consumato a corte, e quello più limpido e liquido veniva riservato unicamente all’imperatore e ai suoi diretti famigliari; al resto dell’aristocrazia veniva servito, invece, il sake più denso.
Con il passare dei secoli, i metodi di produzione si sono evoluti e, grazie a moderni macchinari e tecnologie, è ora possibile ottenere un sake completamente limpido, senza traccia di residui di riso. Ma non vi preoccupate, il riso che viene spremuto dopo la fermentazione non viene buttato via, anzi viene usato per conservare pesce e verdure, per produrre shochu, per cucinare zuppe deliziose o per produrre cosmetici.
Scopri i nigorizake di Sake Company
L’ingrediente segreto
Durante il periodo Heian (794-1185) la produzione del sake passò lentamente dalla corte imperiale, che fino a quel momento ne aveva il monopolio, ai templi. A quel tempo, la maggior parte del sake veniva usata durante i riti religiosi come offerta agli dei, e per produrlo venivano impiegate giovani fanciulle che avevano il compito di masticare il riso per poi farlo fermentare dentro giare di ceramica.
Questa pratica derivava dal periodo Jomon, che corrisponde al periodo preistorico. A quel tempo, il riso non era ancora presente in Giappone e i giapponesi producevano una bevanda alcolica con bacche e frutta che veniva masticata e lasciata fermentare dentro contenitori di terracotta o ceramica. Il prodotto derivato da questa tecnica veniva chiamato kuchikami no sake 口噛みの酒 (sake masticato) e la stessa tecnica è stata applicata al riso dopo che quest'ultimo è stato introdotto nel paese dalla Cina circa tremila anni fa. Come avrete già capito, l’ingrediente segreto del sake a quel tempo era proprio la saliva! L’enzima amilase presente nella saliva, infatti, trasformava l’amido del riso in zuccheri e, una volta sputata questa poltiglia, i lieviti presenti in modo naturale nell’aria vi cadevano sopra e davano il via alla fermentazione.
Fortunatamente per noi, nel tempo questa pratica è caduta in disuso, e oggi viene impiegato il koji per la saccarificazione dell’amido, ma ricordiamoci che è stata parte della cultura del sake per secoli.
Il sake aiuta la digestione
Sì, avete letto bene! Il sake, se bevuto con moderazione, ha diverse proprietà benefiche perché contiene una grande varietà di nutrienti, tra cui aminoacidi, vitamine e minerali.
Uno degli ingredienti del sake di cui si parla meno, nonostante sia di grande importanza, sono i batteri lattici, fondamentali nel processo di fermentazione. Il tipo di batteri lattici usati per la produzione del nihonshu sono i lattobacilli, dei probiotici utilissimi per favorire la digestione. Ecco perché bere con moderazione sake durante o dopo i pasti può essere un vero toccasana.
Il sake nutre la pelle!
Nel sake sono contenuti più di venti tipi diversi di aminoacidi, e alcuni di questi fanno bene alla nostra pelle. Elementi come α-D-Glucosylglycerol e alanina, presenti nel sake, promuovono la produzione di collagene e, abbinati ai lieviti utilizzati durante la fermentazione, aiutano a idratare e rassodare la pelle. Se avrete la possibilità di visitare delle sakagura (cantine dove si produce il sake), fate attenzione alla pelle del viso e, soprattutto, delle mani di chi lavora in cantina... noterete che è sempre radiosa e idratata.
Oggigiorno, in Giappone ci sono diverse case di cosmesi che acquistano prodotti derivati dal sake, come la nuka (polvere residua della sbiancatura dei chicchi di riso) o il sakekasu (la parte di riso che rimane dopo la fermentazione e il presso-filtraggio) per produrre creme e sieri di bellezza. Ci sono addirittura alcune sakagura, come Kiku Masamune nella prefettura di Hyogo, che producono i propri prodotti di bellezza. In Giappone il sakekasu viene regolarmente venduto nei supermercati e spesso le donne giapponesi, oltre ad acquistarlo per cucinare, lo usano per farne impacchi e maschere per il viso.